Cass. Civ., Ord. 08/08/2025, n. 22908
Il contratto preliminare produce soltanto l’obbligo reciproco di concludere il contratto definitivo; una volta stipulato quest’ultimo, il preliminare viene superato e sostituito dal nuovo accordo. Le clausole e le condizioni del contratto definitivo possono anche differire da quelle previste nel preliminare, a meno che le parti non abbiano espressamente stabilito che alcune disposizioni del preliminare restino in vigore.
In linea di principio, quindi, il contratto definitivo rappresenta la sola e completa regolamentazione del rapporto tra le parti, costituendo un nuovo accordo che si presume conforme alla loro volontà attuale. Tale presunzione può essere superata solo se si dimostra (nel caso di beni immobili, per iscritto) che le parti, al momento della stipula del contratto definitivo, abbiano concordato espressamente la sopravvivenza di specifici obblighi o prestazioni originariamente previsti nel preliminare.
Il secondo motivo denuncia “nullità della sentenza ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. in ragione della omessa indagine circa l’effettiva volontà perseguita dalle parti, circa il contegno extraprocessuale mantenuto dalle parti dapprima in sede di stipulazione del contratto preliminare di compravendita e in seguito in sede di sottoscrizione del rogito definitivo, nonché successivamente in sede di tentativo di definizione stragiudiziale della controversia, in ragione della obliterazione di determinanti emergenze istruttorie sia documentali che testimoniali”: la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare “svariati elementi istruttori, connotanti la inequivoca volontà delle parti di considerare il contratto preliminare quale fonte dei reciproci obblighi”, ossia una lettera inviata alle parti del processo dall’avvocato del condominio il 13 ottobre 2008, le dichiarazioni rese in primo grado da tre testimoni e il verbale dell’assemblea del condominio del 12 luglio 2005.
Il motivo non può essere accolto. La sua premessa è infatti costituita da una pronuncia di merito secondo la quale il contratto definitivo non prevarrebbe sul contratto preliminare, ma spetterebbe al giudice – alla luce di un’indagine sulla effettiva volontà delle parti – stabilire quale dei due contratti sarebbe la fonte dei loro obblighi. Tale premessa, lo riconoscono gli stessi ricorrenti (pag. 30 del ricorso), si pone in contrasto con il principio, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale, una volta stipulato il contratto definitivo di compravendita di un immobile, quest’ultimo costituisce l’unica fonte delle obbligazioni delle parti, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (così Cass. n. 15585/2007, menzionata dai ricorrenti). La disciplina prevista dal contratto definitivo, con riguardo alle modalità e condizioni, anche se diversa da quella pattuita con il preliminare, configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti e si presume sia l’unica regolamentazione del rapporto da esse voluta; tale presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – che deve risultare da atto scritto ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili e ricordiamo che nella prospettiva dei ricorrenti il contratto voluto dalle parti è un contratto di compravendita di un immobile – “di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo” (Cass. n. 12090/2024).
