Cass. Civ., Ord. 05/08/2025, n. 22651
Nella compravendita di immobili a uso abitativo, il requisito dell’abitabilità è essenziale, poiché garantisce che il bene sia idoneo all’uso previsto e liberamente commerciabile. Il relativo certificato deve essere consegnato dal venditore, ai sensi dell’art. 1477, comma 3, c.c., e non può essere sostituito da altri titoli. La sua assenza può legittimare il rifiuto dell’acquirente di adempiere, a seconda dei casi configurando una vendita di aliud pro alio, un vizio per mancanza di qualità essenziali o un semplice inadempimento risarcibile, se dovuto soltanto a ritardo nel rilascio della certificazione.
“Non è controverso tra le parti che l’immobile compravenduto si presentasse, alla consegna, ancora diviso in due porzioni con destinazione commerciale, fosse parzialmente occupato dal conduttore e che non fosse stato rilasciato il certificato di abitabilità. Nell’atto di acquisto del 13.5.2009, (art. 6) il bene era descritto non come composto da due porzioni autonome con destinazione commerciale, ma come unica unità abitativa censita al catasto fabbricati, categoria A/2, classe 7, part. 118, sub 8, nella configurazione che doveva acquisire per effetto dell’accorpamento dei subalterni 51 e 52 giusta denuncia di variazione, “nello stato di fatto (individuato nella planimetria allegata al rogito), successivo ai lavori di cui alla DIA”.
La descritta condizione oggettiva e giuridica del bene, ancora diviso al momento del rogito in due porzioni non abitabili, non esonerava il venditore dal porre in essere per tempo le necessarie modifiche strutturali per le quali aveva dato atto di aver presentato una Dia per cambio di destinazione d’uso ad abitativo e per fusione in data 13.3.2009, due mesi prima del contratto; anche nel preliminare del 23.3.2009 era specificato che l’unità immobiliare era “in corso di destinazione per civile abitazione”.
La Corte di merito avrebbe, quindi, dovuto considerare che il venditore si era obbligato alla consegna di un unico immobile, il che richiedeva la previa unificazione materiale delle due unità preesistenti, come da dichiarazione di inizio attività del marzo 2003 menzionata nel rogito, e a conseguire il mutamento di destinazione d’uso, essendone esonerato solo qualora il ricorrente avesse rinunciato all’abitabilità o si fosse fatto personalmente fatto carico dei relativi adempimenti, restando irrilevante che questi fosse a conoscenza della mancanza della relativa certificazione (Cass. 422/1996; Cass. 10703/1994).
Nella vendita di immobili ad uso abitativo l’abitabilità è requisito indispensabile poiché incide sull’attitudine del bene a realizzare gli interessi perseguiti dai contraenti, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.
Il certificato che ne attesti la sussistenza rientra tra i documenti che il venditore è, perciò, tenuto a consegnare ai sensi dell’art. 1477, comma terzo, c.c. e non può essere surrogato dal possesso del certificato per la destinazione dell’immobile ad uso ufficio (Cass. 9253/2006). La sua mancanza può giustificare il rifiuto di adempiere, dovendo il giudice accertare se si configuri un’ipotesi di vendita di “aliud pro alio” qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili, un vizio contrattuale per mancanza di qualità essenziali qualora le difformità riscontrate siano sanabili, o se l’inadempimento risulti non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa (Cass. 23604/2023).
Gravava sulla società resistente anche l’obbligo di immettere l’acquirente nel possesso del bene, essendo il pagamento del saldo subordinato allo sfratto del conduttore a cura e spese del venditore, come esplicitamente previsto dal contratto (art. 3, pag. 4 del rogito); permanendo l’occupazione del bene, l’acquirente era legittimato, anche solo per tale ragione, a rifiutare il pagamento (Cass. 24786/2006)”.
