Danno a bene mobile: legittimazione

https://pixabay.com/it/photos/display-rotto-iphone-rotto-rotto-2222010/

Cass. Civ., Ord. 08/08/2025, n. 22865

L’azione per il risarcimento del danno derivante dalla perdita di un bene mobile non spetta esclusivamente al proprietario. Può infatti essere riconosciuta anche a chi, pur non essendo titolare di un diritto reale o personale sulla cosa, ne eserciti un potere di fatto (ad esempio un semplice possesso o una detenzione) e subisca per questo un danno patrimoniale a seguito del danneggiamento.

Tuttavia, in tali ipotesi, il detentore di un bene altrui danneggiato da un terzo può chiedere il risarcimento solo se dimostra due elementi: da un lato, di essere tenuto, in base a un valido titolo giuridico, a risarcire o manlevare il proprietario del bene; dall’altro, di avere già adempiuto a tale obbligazione, così da evitare che anche il proprietario possa avanzare una richiesta di risarcimento per lo stesso danno.

Vero è che, nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 14269/2017, n. 3082/2015, n. 21011/2010, n. 22602/2009, n. 4003/2006; n. 12215/2003), è consolidato il principio per cui l’azione di risarcimento danni per la perdita di una cosa mobile non è riservata al proprietario, ben potendo il diritto al risarcimento spettare anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa qualora dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale, che egli abbia all’esercizio di quel potere.

Tuttavia, è altrettanto vero che, sempre secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 14269/2017, n. 21011/2010, n. 22602/2009), in tal caso, il detentore di cosa altrui, danneggiata dal fatto illecito del terzo, incidente nella propria sfera patrimoniale, è legittimato a domandare il risarcimento solo se dimostri, da un lato, la sussistenza di un titolo in virtù del quale è obbligato a tenere indenne il proprietario, e, dall’altro, che l’obbligazione scaturente da quel titolo sia stata già adempiuta, in modo da evitare che il terzo proprietario possa pretendere anche egli di essere risarcito dal danneggiante”.

Orbene, nel caso di specie, il giudice di appello ha ritenuto (pp. 5-7) non provati i fatti costituitivi della domanda risarcitoria avanzata, non essendo stato provato:

a) né quale fosse l’effettivo carico del veicolo di proprietà del A.A. il giorno del sinistro stradale e, in particolare, se sul suo automezzo fossero stati effettivamente caricati, il giorno dell’incidente, erano n. 20 fusti di carciofi e n. 138 colli di friarelli;

b) né se, a seguito e a causa del sinistro per cui è causa, si fossero danneggiati 20 fusti di carciofi e n. 138 colli di friarelli;

c) e neppure se il A.A. avesse pagato al proprietario della merce la dedotta somma di Euro 11.500.

E tanto ha ritenuto non soltanto ad esito di un giudizio di fatto, che si sottrae al sindacato di questa Corte, ma anche in conformità della giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata e con motivazione che, ponendosi sicuramente al di sopra del cd. “minimo costituzionale”, non rientra affatto in una di quelle sole gravi anomalie argomentative individuate dalle Sezioni Unite (cfr. SU n. 8053 e n. 8054/2014).

D’altra parte, il giudice di appello ha motivatamente ritenuto (p.8) irrilevanti le prove, che erano state richieste a questo fine dal A.A. nel giudizio di primo grado e che erano state dallo stesso riproposte nel giudizio di appello: quanto alla richiesta di prova testimoniale, in quanto la stessa riguardava “circostanze mai dedotte nel rispetto dei termini deputati alla fissazione del thema disputandum del giudizio di primo grado” e “circostanze documentali”, e, quanto alla richiesta di ordine di esibizione ed alla richiesta di c.t.u., in quanto entrambe avevano carattere esplorativo.

Il ricorrente censura la decisione del giudice di merito, ma dimentica che nel processo di legittimità, il giudizio sulla rilevanza delle prove è riservato al giudice di merito e non è sindacabile davanti a questa Corte, salvo il caso in cui la motivazione di detto giudizio risulti illogica o contraddittoria, o se vi è stata una violazione delle norme che regolano l’acquisizione e la valutazione delle prove.

Tanto non si verifica nel caso di specie, in cui, contrariamente a quanto deduce il ricorrente, non soltanto la motivazione è congrua e non solleva alcuna questione interpretativa delle disposizioni denunciate, ma la decisione del giudice di appello è anche confermativa della sentenza di primo grado (con conseguente inammissibilità della denuncia del vizio di cui all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.) ed in linea a consolidata giurisprudenza di questa Corte (con conseguente inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.)

image_printStampa