Usucapione: il possesso deve essere assoluto ed esclusivo

Cass. Civ. Sent. 22-01-2019, n. 1642

Ai fini dell’usucapione è necessario che il comproprietario estenda il suo possesso in termini di esclusività, a tal fine occorrendo che goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri si astengano dall’uso della cosa comune.

1.7. Nello specifico, la corte ha argomentato, secondo una “massima di esperienza” più che ricorrendo ad una “presunzione”, come puntualmente osservato dai controricorrenti R.D.M., che nel caso di un bene così ampio, un immobile di 200 vani, il compossesso esercitato da R.G.B. su 20 stanze non sia, di per sè, possesso esclusivo connotato da carattere di assolutezza ed esclusività, apparendo nient’altro che il modo di esercizio del compossesso e non una manifestazione che, a prescindere dalla denominazione, configuri una volontà di escludere gli altri compossessori.

Con il primo motivo del ricorso principale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 714 c.c. (godimento separato di parte dei beni), art. 1102 c.c. (uso della cosa comune), art. 1141 c.c. (mutamento della detenzione in possesso), art. 1158 c.c. (usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari), art. 1164 c.c. (interversione del possesso) e art. 2729 c.c. (presunzioni semplici).

1.1. In particolare, R.L. contesta che la corte d’appello abbia illegittimamente richiesto l’interversione del possesso ai fini della prova della durata ad usucapionem del possesso esclusivo da parte di R.G.B., compossessore insieme ai fratelli del bene in comunione e padre del ricorrente, mentre l’interversione sarebbe necessaria solo nei casi non riguardanti il diritto di proprietà.

1.2. Si contesta, inoltre, l’illegittimità del ricorso da parte della corte d’appello all’argomentazione fondata sulla presunzione che “stante l’ampiezza del castello l’applicazione del principio giurisprudenziale che non richiede l’interversione del possesso sarebbe meno intuitiva rispetto ad un immobile composto da due camere servizi “(p. 42 della sentenza).

1.3. Il motivo, alla luce della corretta ed integrale lettura della motivazione adottata dal giudice d’appello sul gravame proposto da R.L. in relazione al rigetto della domanda di usucapione basata sul “Concordato 1970”, appare infondato con riguardo ad entrambi i profili.

1.4. La corte non ha disatteso il principio giurisprudenziale secondo il quale “in tema di comunione, il comproprietario che sia nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso” (cfr. Cass. 23539/2012; 17322/2010; più recentemente, Cass. 11903/2015 e Cass. 24781/201).

1.5. Ha, invece, osservato come ai fini dell’usucapione sia necessario che il comproprietario estenda il suo possesso in termini di esclusività, a tal fine occorrendo che goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri si astengano dall’uso della cosa comune.

1.6. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, infatti, la corte territoriale ha pienamente condiviso il principio espresso costantemente dalla Suprema corte e lo ha applicato al caso di specie.

1.7. Nello specifico, la corte ha argomentato, secondo una “massima di esperienza” più che ricorrendo ad una “presunzione”, come puntualmente osservato dai controricorrenti R.D.M., che nel caso di un bene così ampio, un immobile di 200 vani, il compossesso esercitato da R.G.B. su 20 stanze non sia, di per sè, possesso esclusivo connotato da carattere di assolutezza ed esclusività, apparendo nient’altro che il modo di esercizio del compossesso e non una manifestazione che, a prescindere dalla denominazione, configuri una volontà di escludere gli altri compossessori.

1.8. Così ricostruito il percorso argomentativo del giudice d’appello, non sono ravvisabili le ipotizzate violazioni di legge, nè con riguardo alle disposizioni sul possesso e sulla non necessità di interversione nel caso di compossesso, nè con riguardo a quella sull’utilizzo della “massima di esperienza”.

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