Nullità del preliminare di compravendita immobiliare e indennità per occupazione senza titolo

Cass. Civ. Sez. II Sent., 10/10/2018, n. 25044

La situazione di possesso originata da un contratto preliminare di vendita nullo va, comunque, regolarizzata e, ciò sulla base delle norme che disciplinano i rapporti di fatto, prima di tutto, per la specifica determinazione dell’indennità di occupazione, in ragione delle norme sull’indebito arricchimento, ex art. 2041 c.c.

Sulla base dell’art. 2041 c.c., il proprietario avrebbe diritto ad un equo ristoro da calcolarsi per l’appunto attraverso le norme di cui agli artt. 1223, 1226 e 2056, a partire dal momento in cui ha chiesto la restituzione del bene, trasformandosi da quel momento il possesso di buona fede dello pseudo promissario acquirente, in possesso di mala fede, con la precisazione che l’indennizzo in questione, poichè ancorato all’azione generale di arricchimento senza causa, non comporterebbe alcun riconoscimento del c.d. lucro cessante non previsto per tale tipo di azione.

Come è noto, la nullità non produce alcun effetto in base al principio quod nullum est nullum producit effectum, e, dunque, retroagisce al momento della conclusione dell’accordo, con la conseguenza che l’occupazione dell’immobile sarebbe priva di giustificazione ab origine con tutti gli effetti derivanti dal dato temporale.

Tuttavia, va qui evidenziato che la situazione di possesso originata da un contratto preliminare di vendita nullo va, comunque, regolarizzata e, ciò sulla base delle norme che disciplinano i rapporti di fatto, prima di tutto, per la specifica determinazione dell’indennità di occupazione, in ragione delle norme sull’indebito arricchimento, ex art. 2041 c.c.. Sulla base dell’art. 2041 c.c., il proprietario avrebbe diritto ad un equo ristoro da calcolarsi per l’appunto attraverso le norme di cui agli artt. 1223, 1226 e 2056, a partire dal momento in cui ha chiesto la restituzione del bene, trasformandosi da quel momento il possesso di buona fede dello pseudo promissario acquirente, in possesso di mala fede, con la precisazione che l’indennizzo in questione, poichè ancorato all’azione generale di arricchimento senza causa, non comporterebbe alcun riconoscimento del c.d. lucro cessante non previsto per tale tipo di azione (cfr. Cass. 18785/2005).

Ora, nel caso in esame, come ha chiarito la Corte di prossimità, il promittente venditore aveva chiesto la risoluzione del contratto preliminare e il conseguente risarcimento del danno, ma non aveva, invece, chiesto, come per altro ammetterebbe lo stesso ricorrente (pag. 5 del ricorso), la restituzione del bene per nullità del contratto, nè il pagamento dell’indennità per l’occupazione del terreno sine titulo, non potendo ritenersi questa ricompresa nella richiesta di risarcimento danni, essendo le relative azioni diverse per natura ed effetti.

Pertanto, la richiesta del pagamento dell’indennità formulata in sede di appello, come emerge dalla stessa sentenza, integrava gli estremi di una domanda nuova. La stessa Corte distrettuale, avendo ritenuto che la domanda di cui si dice era nuova, ha provveduto a dichiararla inammissibile, sia pure indirettamente, cioè non esaminandola.

I ricorrenti, dunque, avrebbero dovuto, e non sembra lo abbiano fatto, censurare la declaratoria di inammissibilità della domanda o di omessa pronuncia su una specifica domanda e, non avendolo fatto, hanno formulato una censura inammissibile, fondata su un presupposto errato, cioè, ritenendo che la richiesta di indennità per occupazione del terreno sine titulo, fosse ricompresa nella domanda di risarcimento danni.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ. condannati in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione, che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

 

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