Danno da privazione del possesso e onere probatorio

Cass. Civ. Ord. 20-03-2019, n. 7871

Non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno derivante dalla privazione del possesso di un immobile (nel caso di specie, dei parcheggi condominiali) in modo violento o clandestino nel caso in cui la parte non abbia fornito la prova dell’esistenza e dell’entità materiale del pregiudizio e la domanda non sia limitata alla richiesta della sola pronuncia sull’an debeatur, non essendo allora ammissibile il ricorso al potere di liquidazione equitativa del danno.

Con il primo motivo di ricorso si lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “Violazione dell’art. 112 c.c., dell’art. 703 c.c., comma 1, degli artt. 167, 91, 1168, 1140, 1102 e 1117 c.c. per avere la Corte d’Appello di Venezia omesso di pronunciarsi sull’avvenuto spoglio clandestino e violento di tre posti auto condominiali dal ricorrente attribuito alla Cengello s.r.l. quale sua autrice morale e soggetto che in virtù di esso ha acquisito ed esercitato sui predetti beni il possesso esclusivo per otto mesi”.

In sede di appello il ricorrente aveva già denunciato la violazione dell’art. 112 c.p.c., poichè il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla fondatezza del ricorso possessorio proposto, e di accertare se la Cengello s.r.l. fosse responsabile di tale fatto illecito. L’installazione dei ferri blocca-parcheggi era atto non solo incontestato, ma espressamente riconosciuto dai convenuti, nonchè confermato con le prove testimoniali. Tale atto risultava essere in primo luogo clandestino, sulla base delle modalità di esecuzione, nonchè della consapevolezza degli autori della contrarietà all’uso esclusivo di detti posti auto da parte degli altri condomini, ed in secondo luogo violento, in ragione delle modalità di collocazione dei ferri blocca-parcheggio.

Senonchè i giudici dell’appello avrebbero omesso di pronunciarsi sulla domanda possessoria principale, volta all’accertamento dell’uso esclusivo, per otto mesi, dei tre posti auto condominiali da parte della Cengello s.r.l. mediante lo spossessamento clandestino e violento degli stessi, e si sarebbero occupati solo di quella accessoria relativa al risarcimento danni.

Con il secondo motivo si lamenta sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione degli artt. 1168, 2043, 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. essendo stato giudicato che la privazione per otto mesi del compossesso di tre posti auto condominiali dal ricorrente patito per fatto illecito dalla Cengello s.r.l. non ha arrecato alcun danno al ricorrente giustificando la decisione con una motivazione illogica, irrazionale e contraria a principi di matematica elementare”.

Secondo il ricorrente non è condivisibile l’affermazione della Corte veneta, in quanto il danno scaturente dalla privazione del possesso di un posto auto deve ritenersi “in re ipsa”.

A detta del ricorrente il danno può esistere anche in mancanza di prova da parte del danneggiato. D’altra parte essendo dimostrato in via documentale che il condominio ha dieci unità abitative, ed essendo diritto dei dieci condomini quello di parcheggiare negli appositi spazi condominiali, poichè per duecentottanta giorni (quanto è durato il periodo di spossessamento), tre condomini su dieci non ebbero la possibilità di parcheggiare nell’apposito spazio condominiale, è certo matematicamente che questi dovettero recarsi in altri luoghi, esterni al condominio, per parcheggiare la loro auto. Le spese sostenute dal ricorrente relative al carburante e al ticket pagato nei parcheggi custoditi, nonchè la perdita di tempo, che causò stress e nervosismi, sarebbero tutti elementi idonei a rendere certa l’esistenza di danno, tuttavia difficile da quantificare nel suo esatto ammontare.

I motivi possono essere trattati congiuntamente e devono essere entrambi rigettati.

In linea di principio non si nega certamente il carattere turbativo, tutelabile con l’azione di manutenzione, di qualsiasi comportamento che ponga in essere un’innovazione della cosa comune idonea a modificare le concrete modalità di utilizzazione del bene fino a limitare, in misura apprezzabile, le facoltà del suo godimento (Cass. n. 22227/2006). Infatti, ai sensi dell’art. 1102 c.c., comma 1 – che si applica in materia condominiale in ragione dell’espresso rinvio di cui all’art. 1139 c.c. – l’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è legittimo purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca il pari uso da parte degli altri; pertanto la compromissione da parte di un comproprietario dell’uso da parte degli altri configura un atto illecito. (Cass. n. 13424/2003).

Tuttavia, e tornando al caso in esame, deve escludersi che ricorra un difetto di pronuncia quanto alla richiesta di tutela possessoria avanzata dal ricorrente, occorrendo avere riguardo alla circostanza che i giudici di merito hanno ritenuto che la richiesta di reintegra fosse ormai assorbita per effetto della cessazione della materia del contendere pronunciata con ordinanza dell’8 luglio 2011 – 11 luglio 2011 (cfr. ricorso pag. 5).

In tal senso questa Corte ha già avuto modo di affermare che (cfr. Cass. n. 6881/1991) il giudice del merito deve dichiarare, anche d’ufficio, la cessazione della materia del contendere, una volta venuto a conoscenza di fatti obiettivi posteriori alla domanda giudiziale, riconosciuti e non contestati dalle parti, dai quali deriva l’eliminazione del contrasto tra le stesse, ed il conseguente venir meno della necessità della pronuncia giudiziale; il che, per quanto specificamente attiene al giudizio possessorio, si verifica qualora nelle more del giudizio stesso, il ricorrente sia reintegrato spontaneamente, prima del provvedimento del giudice, nella situazione di fatto alterata dal resistente.

Ciò è quanto appunto è avvenuto nella vicenda in esame, posto che, come riconosce lo stesso ricorrente, ad aprile del 2010 sono stati rimossi da parte della società i ferri che avevano temporaneamente impedito agli altri condomini di poter liberamente fruire di tre dei dieci posti siti nelle aree comuni.

E’ però altrettanto radicato il principio per cui lo spoglio o la turbativa del possesso costituiscono atti illeciti lesivi del diritto del possessore alla conservazione della disponibilità della cosa, tutelati al punto che la sopravvenuta reintegrazione, o la cessazione della turbativa, prima di un ordine del giudice, non eliminano l’interesse del soggetto passivo ad ottenere una sentenza che, pur non potendo contenere quell’ordine (ormai inutile), esamini la fondatezza nel merito dell’azione possessoria, sia ai fini del necessario regolamento delle spese, sia perchè l’attore possa eventualmente porla a base di un separato giudizio di danni (Cass. n. 1578/1987), i quali tuttavia devono essere provati da chi propone la domanda di reintegrazione, secondo i principi generali in tema di ripartizione dell’onere probatorio.

Nel caso di specie, venuto meno lo spoglio lamentato dal ricorrente, il giudice di primo grado in sede interdittale dichiarava cessata la materia del contendere, ma avendo l’attore cumulato anche la domanda risarcitoria, ha provveduto doverosamente ad esaminare anche la ricorrenza del pregiudizio dedotto dal R., ritenendo tuttavia, pur ravvisando l’esistenza dello spoglio violento e clandestino ad opera della società, che la domanda risarcitoria non potesse essere accolta,, essendo rimasta sfornita di prova sia con riferimento al quantum che all’an. Ne consegue che non vi è stata omissione di pronuncia da parte del giudice di merito, che ha valutato la condotta della resistente ai fini della connessa domanda risarcitoria (per la quale unicamente aveva fatto richiesta il ricorrente che il processo proseguisse nel merito), che è stata però rigettata.

I giudici di appello hanno, infatti, reputato che non fosse stata fornita la prova del danno sia nell’an che nel quantum, dando seguito ai principi affermati da questa Corte in base ai quali il danno da occupazione abusiva di immobile, infatti, non può ritenersi sussistente “in re ipsa” e coincidente con l’evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicchè il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio ovvero di aver sofferto qualsivoglia situazione pregiudizievole (Cass. n. 15111/2013; Cass. n. 13071/2018).

Con specifico riferimento al danno da privazione del possesso, si è altresì ribadito che (Cass. n. 8854/2012) non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno derivante dalla privazione del possesso di un immobile in modo violento o clandestino (che si configura come fatto illecito) nel caso in cui la parte non abbia fornito la prova dell’esistenza e dell’entità materiale del pregiudizio e la domanda non sia limitata alla richiesta della sola pronuncia sull'”an debeatur”, non essendo allora ammissibile il ricorso al potere officioso di liquidazione equitativa del danno.

I giudici di merito, con valutazione in fatto, non suscettibile di sindacato in questa sede, hanno ritenuto che, alla luce della peculiare conformazione dei luoghi e tenuto conto del periodo per il quale si è protratta la condotta illecita della convenuta, non vi fosse la prova del danno subito del ricorrente, attesa l’esistenza nel condominio di altri posti suscettibili di libera fruizione e considerato altresì che il mancato godimento dei tre posti auto si era verificato in un periodo dell’anno nel quale è ragionevole presumere che non vi sia l’esigenza per tutti i condomini di poter parcheggiare, attesa l’ubicazione del condominio in una località balneare, oggetto di frequentazione assidua da parte di tutti i condomini verosimilmente solo nel periodo estivo.

In tal senso non appare risolutivo il richiamo a principi matematici, quali il fatto che il numero dei posti disponibili fosse inferiore a quello dei condomini aventi diritto a parcheggiare, in quanto, stante la possibilità di poter comunque avvalersi di altri posti auto, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la concreta impossibilità di potersene servire.

Il ricorso dev’essere pertanto rigettato.

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