Contratto preliminare e risarcimento del danno

Preliminare

Cass. Civ. Ord. 30/06/2021, n. 18498

In tema di responsabilità contrattuale, il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento in cui l’inadempimento è diventato definitivo – che viene fatto coincidere con la proposizione della domanda di risoluzione o con altro momento anteriore, ove accertato in concreto – ed il prezzo pattuito, oltre alla rivalutazione monetaria eventualmente verificatasi nelle more del giudizio.

“Con il terzo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. e si contesta il rigetto della domanda risarcitoria conseguente alla dichiarata risoluzione del preliminare. Il ricorrente assume che la Corte d’appello sarebbe incorsa in errore nella parte in cui ha fatto riferimento, ai fini della valutazione del lucro cessante, al valore dell’immobile al momento della domanda giudiziale, ritenendo che quello fosse il momento nel quale era diventato definitivo l’inadempimento del promittente venditore.

Era vero, al contrario, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, che la domanda di risoluzione del preliminare era stata proposta subordinatamente al rigetto della principale, di esecuzione in forma specifica, sicché il momento nel quale il promissario acquirente aveva dimostrato di non avere più interesse all’adempimento non coincideva con la proposizione della domanda di risoluzione, ma con il rigetto della domanda di adempimento in forma specifica del preliminare.

Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha fatto applicazione del principio consolidato secondo cui, in tema di responsabilità contrattuale, il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento in cui l’inadempimento è diventato definitivo – che viene fatto coincidere con la proposizione della domanda di risoluzione o con altro momento anteriore, ove accertato in concreto – ed il prezzo pattuito, oltre alla rivalutazione monetaria eventualmente verificatasi nelle more del giudizio (tra le molte, Cass. 17/11/2020, n. 26042; Cass. 28/11/2017, n. 28375; Cass. 30/08/2012, n. 14714; Cass. 28/07/2010, n. 17688).

La contestazione del ricorrente muove dall’erroneo presupposto che il momento della definitività dell’inadempimento, rilevante ai fini del risarcimento del danno, dipenda dall’interesse del contraente non inadempiente, che nella specie sarebbe espresso dal rapporto di subordinazione tra le due domande.

L’insostenibilità della tesi è resa evidente dalla considerazione che se si ragionasse sul piano processuale del rapporto di subordinazione tra le domande impresso dall’attore, si dovrebbe concludere che l’inadempimento diventa definitivo soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza che rigetta la domanda di adempimento in forma specifica, poiché il vincolo di subordinazione permane fino alla definizione del giudizio, come confermato dal rilievo che l’attore vittorioso sulla subordinata può riproporre la principale con l’impugnazione incidentale (tra le molte, Cass. 12/04/2012, n. 5805).

In realtà, la questione va risolta sul piano dei principi generali in tema di inadempimento contrattuale.

E’ vero, infatti, che l’inadempimento non è un fatto processuale, esiste o non a prescindere dal processo, e viene accertato dal giudice con riferimento al momento in cui si è determinato, che coincide con il momento nel quale il contraente ha la scelta tra adempiere o non l’obbligazione assunta. Si tratta di un momento che precede il processo – difatti viene accertato dal giudice con valutazione ex tunc – ed è ad esso che occorre fare riferimento per il risarcimento del danno, secondo il principio generale codificato all’art. 1225 c.c..

In ragione della struttura tipica del contratto preliminare, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che ” la prevedibilità del danno risarcibile deve essere valutata con riferimento non al momento in cui è sorto il rapporto obbligatorio ma a quello in cui il debitore, dovendo dare esecuzione alla prestazione e, potendo scegliere fra adempimento e inadempimento, è in grado di apprezzare più compiutamente e quindi di prevedere il pregiudizio che il creditore può subire per effetto del suo comportamento inadempiente; infatti, il collegamento della prevedibilità del danno al tempo in cui è sorta l’obbligazione (art. 1225 c.c.) non tiene conto del periodo di tempo, a volte anche lungo, intercorrente fra tale momento e quello in cui la prestazione deve essere adempiuta (per tutte, Cass. 30/01/2007, n. 1956).

In definitiva, deve essere confermato l’orientamento che ancora il momento della valutazione del valore dell’immobile oggetto del preliminare a quello in cui è stata proposta domanda di risoluzione, seppur in via subordinata”.

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