Ancora sul diritto all’installazione dell’ascensore nel condominio

Cass. Civ. Ord. 05-12-2018, n. 31462

L’installazione di un ascensore, al fine dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un bene comune, deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c.

L’unico motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 907 e 1102 c.c., L. n. 13 del 1989, art. 3, e art. 116 c.p.c., l’erronea valutazione delle risultanze processuali e la motivazione omessa, non idonea e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo, per avere la Corte di Appello inquadrato la fattispecie nell’ambito dell’art. 1102 c.c., anzichè delle innovazioni vietate ex art. 1120 c.c.) è inammissibile e, comunque, manifestamente infondato, in quanto l’installazione di un ascensore, al fine dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un bene comune, deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c., (Sez. 2, Sentenza n. 14096 del 03/08/2012; conf. Sez. 2, Sentenza n. 10852 del 16/05/2014).

Trattasi di principio che è stato anche di recente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte che (cfr. Cass. n. 7938/2017) ha confermato la regola secondo cui in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, la L. n. 13 del 1989, costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici, sicchè la sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed il conseguente ampliamento della scala padronale non possono essere esclusi per una disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione dell’opera all’autorizzazione del condominio, dovendo tributarsi ad una norma siffatta valore recessivo rispetto al compimento di lavori indispensabili per un’effettiva abitabilità dell’immobile, rendendosi, a tal fine, necessario solo verificare il rispetto dei limiti previsti dall’art. 1102 c.c., da intendersi, peraltro, alla luce del principio di solidarietà condominiale.

Negli stessi termini si veda anche Cass. n. 6129/2017, la cui massima recita che l’installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche, rientra fra le opere di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 27, comma 1, ed al D.P.R. n. 384 del 1978, art. 1, comma 1, e, pertanto, costituisce un’innovazione che, L. n. 13 del 1989, ex art. 2, commi 1 e 2, va approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., commi 2 e 3, ovvero, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, che può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap, con l’osservanza dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c., secondo quanto prescritto dal citato art. 2, comma 3; peraltro, la verifica della sussistenza di tali ultimi requisiti deve tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all’intervento innovativo, purchè lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione.

A tali principi, come si ricava dalla sintesi della motivazione della sentenza d’appello risultano essersi conformati i giudici di seconde cure, il che consente di escludere che sussista la dedotta violazione delle norme di legge indicate nella rubrica del motivo.

Del resto, ove non debba procedersi ad una ripartizione di spesa tra tutti i condomini, per essere stata la spesa relativa alle innovazioni di cui si tratta, assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova, comunque, applicazione la norma generale di cui all’art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, ed in forza della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune (Sez. 2, Sentenza n. 24006 del 27/12/2004; conf. Sez. 2, Sentenza n. 25872 del 21/12/2010), valutazione questa che è stata compiuta dal giudice di appello, che ha escluso che sussista una limitazione dell’altrui proprietà incompatibile con la realizzazione dell’opera.

Il vizio di violazione di legge, del resto, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione, come nel caso di specie, di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (nella fattispecie, delle risultanze della c.t.u.) è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006 e, di recente, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).

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