Responsabilità medica e riparto dell’onere della prova

Cass. Civ. Ord., 29/03/2018, n. 7884

Poiché la responsabilità della struttura sanitaria è fondata sul contratto, il paziente danneggiato è tenuto, ai fini dell’onere della prova, a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante. Ciò in conformità ai principi generali dell’art. 1218 c.c..

1. Con l’unico motivo di ricorso si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione di norme di diritto in ordine alla responsabilità contrattuale dell’Università, sul rilievo che erroneamente la Corte d’appello avrebbe escluso ogni responsabilità della stessa in ordine alle emotrasfusioni con sangue infetto.

1.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono.

La Corte di merito, infatti, pur avendo correttamente ricondotto la responsabilità dell’Università Federico II al contratto e non al fatto illecito, così rilevando che la prescrizione decennale non era ancora decorsa, ha poi erroneamente escluso ogni responsabilità della medesima in ordine al controllo sul sangue destinato alla trasfusione. Ciò è in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la responsabilità aquiliana del Ministero non fa venire meno quella, di natura contrattuale, del soggetto (ospedale o casa di cura) che ha in concreto praticato le trasfusioni, non potendo l’una escludere l’altra. Come le Sezioni Unite hanno affermato con la sentenza 11 gennaio 2008, n. 577, poichè la responsabilità della struttura sanitaria è fondata sul contratto, il paziente danneggiato è tenuto, ai fini dell’onere della prova, a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante. Ciò in conformità ai principi generali dell’art. 1218 c.c..

Successivamente alla menzionata pronuncia, questa Corte è tornata sull’argomento con la sentenza 19 febbraio 2016, n. 3261, con la quale è stato affermato che in materia di emotrasfusione e contagio da virus HBV, HIV, HCV, non risponde per inadempimento contrattuale la singola struttura ospedaliera, pubblica o privata, inserita nella rete del servizio sanitario nazionale, che abbia utilizzato sacche di sangue, provenienti dal servizio di immunoematologia trasfusionale della USL, preventivamente sottoposte ai controlli richiesti dalla normativa dell’epoca, esulando in tal caso dalla diligenza a lei richiesta il dovere di conoscere e attuare le misure attestate dalla più alta scienza medica a livello mondiale per evitare la trasmissione del virus, almeno quando non provveda direttamente con un autonomo centro trasfusionale.

Dalla lettura coordinata di questi precedenti, ai quali l’odierna pronuncia intende dare continuità, emerge che la responsabilità della struttura sanitaria può essere esclusa purchè essa dimostri di aver posto nell’adempimento della sua obbligazione la diligenza qualificata; che, nella specie, equivale a dire che essa è esonerata dal compiere controlli ulteriori rispetto a quelli (all’epoca) comunemente praticati, qualora essa abbia trasfuso sangue già controllato e verificato dalla ASL competente, salvo che essa stessa non abbia natura di autonomo centro trasfusionale.

Rileva il Collegio che è proprio tale accertamento che è mancato nella sentenza impugnata; la Corte d’appello si è limitata ad affermare, senza alcuna ulteriore spiegazione, che la struttura sanitaria non è tenuta ad alcun controllo sulle sacche di sangue, essendo tale controllo attribuito per legge al Ministero della salute; ma tale affermazione, assunta sic et simpliciter, è errata.

Ne consegue che, cassata la sentenza impugnata, il giudice di rinvio dovrà compiere la verifica in fatto che è stata omessa nel giudizio di appello; e dovrà quindi accertare se le sacche di sangue infetto fossero state o meno acquisite tramite la struttura pubblica competente e se fossero stati eseguiti da quest’ultima i controlli imposti dalla normativa allora vigente; solo in tal caso, infatti, la struttura ospedaliera potrà ritenersi avere adempiuto la propria obbligazione e, di conseguenza, potrà essere esonerata da responsabilità.

2. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata.

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