Cass. Civ. Ord. 28/02/2018, n. 4709
Per provvedere alla nomina di un amministratore di sostegno, non è sufficiente che sussista una generica valutazione di incapacità del soggetto di provvedere ai propri interessi, ma deve essere riscontrata l’impossibilità oggettiva, sia pure temporanea o parziale, per l’interessato di provvedere ai propri interessi. Deve quindi sussistere lo stato di infermità, o altra menomazione incidente sulla sfera psichica o fisica dell’individuo, e pertanto neppure la condizione di analfabetismo è tale da giustificare l’adozione di una misura limitatrice della sfera di autonomia della persona, e quindi neppure l’amministrazione di sostegno.
L’art. 404 c.c. individua come presupposto per la nomina di un amministratore di sostegno l’esistenza di una infermità o di una menomazione fisica o psichica che determini l’impossibilità, anche parziale o temporanea, della persona di provvedere alla cura dei propri interessi.
All’interno di tale ambito è stata assicurata la finalità perseguita dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6, di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.
In definitiva, se è esatto che tale obiettivo assume un ruolo decisivo nell’individuazione dello strumento protettivo più adeguato (sul punto la giurisprudenza di questa Corte è consolidata sin da Cass. 12 giugno 2006, n. 13584; v. anche Cass. 26 ottobre 2011, n. 22332) e nella sua modulazione concreta, deve anche prendersi atto che il legislatore ha tracciato in termini non equivoci l’ambito applicativo dell’amministrazione di sostegno, affidandosi alle nozioni di infermità o di menomazione fisica o psichica.
Non è dunque una generica e del tutto soggettiva valutazione di incapacità del soggetto di provvedere ai propri interessi che assume rilievo, ma solo quella impossibilità, sia pure temporanea o parziale, che riposi su un fondamento obiettivamente verificabile, rappresentato dalla infermità o da altra menomazione incidente sulla sfera psichica o fisica dell’individuo.
La soluzione, per un verso, consente di dare rilievo a tutte le alterazioni delle capacità che consentono all’individuo di partecipare consapevolmente e liberamente alla vita di relazione su una base di uguaglianza (v., tra l’altro, anche l’art. 1 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità adottata il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia con L. n. 18 del 3 marzo 2009; nonchè artt. e 21, par. 1 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, cui il Trattato di Lisbona, che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007, ratificato ed eseguito dalla L. 2 agosto 2008, n. 130, ha attribuito effetti giuridici vincolanti, equiparandola ai Trattati: art. 6, par. 1, del Trattato sull’Unione europea) e, per altro verso, impedisce che limitazioni (magari minime, ma certo idonee a tradursi in una compressione della sfera di autonomia del soggetto) possano derivare da qualunque scostamento da un modello astratto di persona normale e abile.
Siffatta conclusione esprime, in definitiva, un appropriato bilanciamento tra esigenze protettive finalizzate a realizzare il principio di uguaglianza e rispetto dell’autonomia individuale, nel contesto di un giudizio di proporzionalità che tenga conto del diritto all’autodeterminazione dell’individuo, tutelato nel quadro delle garanzie della vita privata anche dall’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848.
Ed è in tale cornice di riferimento che si comprende la ragione per cui la mera situazione di analfabetismo non giustifica alcuna misura limitatrice della sfera di autonomia della persona.