Appalto: risoluzione del contratto o eliminazione dei vizi?

Cass. Civ. Ord. 14-05-2019, n. 12803

In tema di appalto le domande di risoluzione del contratto e quelle di riduzione del prezzo o di eliminazione dei vizi non sono tra loro incompatibili, con la conseguenza che ne è ammesso il cumulo in un unico giudizio, non ostandovi il disposto dell’art. 1453 c.c., comma 2, che, per i contratti con prestazioni corrispettive, impedisce di chiedere l’adempimento dopo che sia stata domandata la risoluzione del contratto.

Il primo motivo di ricorso, denunziando omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, travisamento dei fatti e violazione e/o falsa applicazione degli artt. 81 e 100 c.p.c., censura la statuizione impugnata che ha riconosciuto in capo agli attori la legittimazione ad agire in giudizio in ragione della loro qualità di condomini. Ad avviso del ricorso tale conclusione è errata per non avere considerato che gli attori avevano avanzato le loro domande non già spendendo tale la loro qualità di condomini, ma come proprietari esclusivi delle terrazze su cui i lavori erano stati eseguiti e che tale prospettazione aveva nel caso di specie un preciso valore e significato, dal momento che gli istanti si erano opposti fin da subito alla nuova pavimentazione deliberata dal condominio, consistente nella sostituzione della vecchia pavimentazione in ceramica con una superficie in ghiaino lavato su supporti di plastica poggianti direttamente sulla guaina, definita in termici tecnici “galleggiante”, ed avevano insistito per il ripristino del vecchio materiale direttamente sul massetto di calcestruzzo, sicchè era evidente che essi avevano agito in giudizio a tutela solo di un interesse proprio e non del condominio.

Il motivo appare infondato.

Premesso che l’interpretazione e la valutazione della domanda della domanda e dei suoi presupposti costituiscono apprezzamenti di fatto, demandati dalla legge al solo giudice di merito e non censurabili in sede di giudizio di legittimità, si osserva che nel caso di specie la Corte territoriale ha riconosciuto la legittimazione ad agire in capo agli attori in ragione del presupposto che essi sono condomini dello stabile e che tale presupposto, così come il ragionamento giuridico ad essa sotteso fatto proprio dalla Corte veneziana, non sono stati messi in discussione dalla società ricorrente, mentre il tentativo di quest’ultima di separare la posizione degli attori sotto i diversi profili di proprietari e condomini appare velleitario, atteso che la qualità di condomino è inscindibilmente legata a quella di titolare di proprietà esclusiva di parte dell’edificio.

Il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1667, 1668 e 1453 c.c., assume l’erroneità della decisione impugnata per avere applicato la disciplina dettata in materia di appalto dagli artt. 1667 e 1668 c.c., che non era invece applicabile atteso che il rapporto contrattuale, al momento della proposizione delle domande, non era ancora ultimato e per non avere dichiarato improponibile la domanda di adempimento a causa del fatto che gli attori avevano chiesto in via principale e senza riserve la risoluzione del contratto. Anche questo mezzo è infondato.

La prima censura va disattesa sia perchè nuova, non risultando che sia stata sollevata nel giudizio di merito, che perchè comunque generica, dal momento che il mezzo non specifica anche se ed in che misura l’opera contestata, che come si desume dalla lettura della sentenza non era l’unica dedotta in contratto, non fosse ultimata, precisazione invece necessaria atteso che dalla ricostruzione del fatto compiuta dalla Corte di merito non risulta affatto che essa fosse ancora in corso di esecuzione.

La doglianza che deduce l’improponibilità della domanda di eliminazione dei vizi dell’opera per avere chiesto gli attori la risoluzione del contratto va invece respinta in applicazione dell’indirizzo di questa Corte secondo cui in tema di appalto le domande di risoluzione del contratto e quelle di riduzione del prezzo o di eliminazione dei vizi non sono tra loro incompatibili, con la conseguenza che ne è ammesso il cumulo in un unico giudizio, non ostandovi il disposto dell’art. 1453 c.c., comma 2, che, per i contratti con prestazioni corrispettive, impedisce di chiedere l’adempimento dopo che sia stata domandata la risoluzione del contratto (Cass. n. 19825 del 2014; Cass. n. 9239 del 2000; Cass. n. 4921 del 1993).

Il terzo motivo di ricorso, che denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., censura la sentenza della Corte di appello per vizio di extrapetizione, per avere condannato la società appaltatrice al rifacimento del massetto e del sottofondo “con successiva posa dei quadrotti, conformemente alla scelta operata dal condominio”, mentre gli attori, appellanti in via incidentale, avevano chiesto di rifare la pavimentazione in piastrelle in ceramica come in origine, radicalmente diversa dalla scelta operata dal condominio, e quindi chiesto un’opera diversa da quella oggetto della statuizione di condanna.

Il motivo è infondato tenuto conto che risulta incontroverso che gli attori avessero chiesto la eliminazione dei vizi dell’opera, comportante nel caso di specie il rifacimento della stessa, con rinvio quindi, al di là delle indicazioni contenute nella richiesta, alle previsioni del contratto, mentre il contenuto in concreto e le modalità relative all’esecuzione di tale obbligo investono gli aspetti tecnici della statuizione di condanna adottata dal giudice di merito e rientrano pertanto nell’ambito dell’accertamento che, costituendone il necessario presupposto, la parte attrice gli ha demandato.

Il ricorso va pertanto respinto.

image_printStampa