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L’importanza dell’ascolto diretto del minore nella separazione

Pubblicato il 15 Ottobre 20189 Aprile 2020 di Avv. Francesco Fiore

Cass. Civ. Ord. 24/05/2018, n. 12957

Il giudice deve motivare le ragioni per cui ritiene il minore infradodicenne incapace di discernimento, se decide di non disporne l’ascolto, così come deve motivare perché ritiene l’ascolto effettuato nel corso delle indagini peritali idoneo a sostituire un ascolto diretto ovvero un ascolto demandato a un esperto al di fuori del contesto relativo allo svolgimento di un incarico peritale.
Infatti, l’ascolto del minore è cosa diversa dallo svolgimento di una consulenza tecnica: l’ascolto è una relazione tendenzialmente diretta fra il giudice e il minore che dà spazio, all’interno del processo, alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza è una indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali in primo luogo la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio.

Ritiene la giurisprudenza di legittimità che nel giudizio di separazione personale tra coniugi, l’audizione del minore infradodicenne capace di discernimento – direttamente da parte del giudice ovvero, su mandato di questi, da parte di un consulente o del personale dei servizi sociali – costituisce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore (Cass. civ. sez. 1^ n. 19327 del 29 settembre 2015). Tuttavia l’ascolto del minore è cosa diversa dallo svolgimento di una consulenza tecnica volta a fornire al giudice strumenti di valutazione per individuare quale sia la situazione più confacente all’interesse del minore, per ciò che concerne la decisione che dovrà adottare circa la convivenza con l’uno o l’altro genitore. L’ascolto è infatti una relazione tendenzialmente diretta fra il giudice e il minore che dà spazio, all’interno del processo, alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda. La consulenza, se pure si avvale preferibilmente di un ascolto diretto del minore da parte di uno specialista, è una indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali in primo luogo la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio. Ciò comporta che il giudice deve motivare le ragioni per cui ritiene il minore infradodicenne incapace di discernimento, se decide di non disporne l’ascolto, così come deve motivare perchè ritiene l’ascolto effettuato nel corso delle indagini peritali idoneo a sostituire un ascolto diretto ovvero un ascolto demandato a un esperto al di fuori del contesto relativo allo svolgimento di un incarico peritale. Tale motivazione appare, in generale, tanto più necessaria quanto più l’età del minore, come nel caso in esame, si approssima a quella dei dodici anni oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto. E’ vero inoltre che il giudice non è tenuto a recepire, nei suoi provvedimenti, le dichiarazioni di volontà che emergono dall’ascolto del minore così come non è tenuto a recepire le conclusioni dell’indagine peritale. Tuttavia qualora il giudice intende disattendere tali dichiarazioni e tali conclusioni ha l’obbligo di motivare la sua decisione con particolare rigore e pertinenza. Nel caso in esame vi è stata una chiara volontà espressa dalla figlia di convivere con la madre e con la sorella con la quale ha un rapporto affettivo importante e di reciproco sostegno. Tale volontà è stata apprezzata dal consulente che ha ritenuto il legame con la sorella il maggior riferimento affettivo e stabilizzante per E.S., sulla base di una valutazione psicologica che si aggiunge alla condivisibile considerazione generale del PG circa la necessità di preservare nelle separazioni la conservazione del rapporto fra fratelli e sorelle e di non adottare provvedimenti di affidamento che comportino la loro separazione se non per ragioni ineludibili e, comunque, sulla base di una motivazione rigorosa che evidenzi il contrario interesse del minore alla convivenza. In questa prospettiva, sia normativa (che trova la sua fonte nel quadro legislativo nazionale e nelle convenzioni internazionali specificamente nell’art. 8 della C.E.D.U.) sia riferibile a un sapere extragiuridico, quale è quello di cui si è avvalsa, nel caso in esame, la Corte di appello, mediante la consulenza, la prescrizione normativa dell’ascolto del minore richiede una valorizzazione sostanziale del punto di vista del minore ai fini della decisione che lo concerne. Si impone in questi casi pertanto una rigorosa verifica della contrarietà al suo interesse, come condizione necessaria per disattenderle, delle valutazioni e aspirazioni espresse dal minore nel corso dell’ascolto. I risultati, che peraltro sono ampiamente riportati nella motivazione della Corte di appello, dell’indagine sulle carenze genitoriali di entrambi i genitori e sulla attuale situazione gravemente insoddisfacente della minore, non consentono di ritenere che tale verifica sia stata compiuta. La conflittualità delle parti in causa non può costituire, di per sè, una giustificazione idonea a far ritenere prevalente l’interesse del minore al mantenimento dello status quo. La decisione sul collocamento di E.S. va pertanto cassata per consentire alla Corte di appello una nuova verifica su quale sia la residenza della minore, presso il padre o la madre, maggiormente corrispondente al suo interesse. Verifica che, partendo dall’ascolto della minore, prenda in esame il contesto dei due nuclei familiari, l’idoneità genitoriale e la esigenza primaria della conservazione del legame e della condivisione di vita con la sorella.

9. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso la Corte ritiene che il giudizio di separazione, nel quale vengono adottati provvedimenti che concernono il minore, non determina automaticamente, nel caso di rilevante conflittualità fra le parti in causa, una situazione di conflitto di interesse fra genitori e figli. Deve piuttosto ritenersi che essa può determinarsi in concreto in relazione a comportamenti processuali delle parti che tendano a impedire al giudice una adeguata valutazione dell’interesse del minore ovvero a frapporsi alla libera prospettazione del punto di vista del minore in sede di ascolto da parte del giudice. Si tratta, in questi casi, di una situazione di conflitto che richiede la nomina di un curatore speciale ma la cui individuazione è rimessa alla valutazione del giudice di merito.

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Pubblicato in Diritto di FamigliaTaggato Assistente sociale, Psicologo

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