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Il coniuge interdetto può separarsi

Pubblicato il 11 Luglio 20189 Aprile 2020 di Avv. Francesco Fiore

Cass. Civ. 06/06/2018, n. 14669

Deve ritenersi legittima la domanda di separazione personale proposta dal tutore, a seguito di autorizzazione giudiziale, in nome e per conto del coniuge interdetto.

La L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 5, ha rappresentato una prima risposta del legislatore al problema della tutela processuale dell’incapace. La norma, probabilmente dando per presupposto che il tutore non potesse rappresentare l’interdetto negli atti personalissimi, ha accomunato la posizione del malato di mente, privo di protezione, a quella dell’infermo già dichiarato incapace di intendere e di volere, stabilendo che anche quest’ultimo, ancorchè già sottoposto a tutela, debba essere rappresentato nel procedimento di divorzio da un curatore speciale: ciò, peraltro, in un’ottica meramente difensiva, atteso che la nomina è espressamente prevista per il solo caso in cui l’incapace sia convenuto in giudizio.

La disposizione è stata però ritenuta applicabile da questa Corte (Cass. n. 9582/2000) anche all’ipotesi in cui interessato ad ottenere il divorzio sia il soggetto incapace, al quale è stata perciò riconosciuta la legittimazione ad agire ed a promuovere il relativo giudizio per il tramite di un curatore speciale, nominato su istanza del tutore.

La sentenza ha affermato che la prospettata interpretazione analogica dell’art. 4 cit., appare costituzionalmente obbligata per evitare che l’interdetto infermo di mente sia privato dell’esercizio di un diritto di particolare rilievo e sia sottoposto ad una disparità di trattamento rispetto all’altro coniuge ed ha, in particolare, sottolineato: i) che nell’ordinamento è configurabile il diritto di ciascun coniuge a chiedere ed ottenere il divorzio nei casi previsti dalla legge; ii) che l’interesse al divorzio può sussistere per l’interdetto infermo di mente indipendentemente dalla posizione assunta dall’altro coniuge, ovvero qualora quest’ultimo non sia d’accordo sul divorzio o non intenda avviare la relativa iniziativa giudiziale; iii) che il divorzio può realizzare una forma di protezione per l’interdetto rispetto al mantenimento del vincolo coniugale; iv) che lo stato di interdizione per infermità di mente non esclude che la tutela degli specifici interessi dell’interdetto in tema di divorzio possa essere rimessa ad altro soggetto.

5.2) I principi appena enunciati, che il collegio pienamente condivide, non possono ritenersi inapplicabili alla separazione per il solo fatto che l’ordinamento non contempla, in materia, un’espressa previsione, analoga a quella dettata per il divorzio.

Già con la sentenza n. 5652/89 questa Corte aveva infatti rilevato che l’incapacità di provvedere ai propri interessi, richiesta dall’art. 414 c.c., ai fini dell’interdizione dell’infermo di mente, deve essere riferita anche agli interessi non patrimoniali suscettibili di subire un pregiudizio; d’altro canto, ritenere che l’interdetto per infermità non possa farsi sostituire da chi è tenuto a rappresentarlo nel porre in essere un atto personalissimo equivarrebbe a sostenere che egli ha perso, in concreto, il relativo diritto, non avendone più l’esercizio.

Deve allora concludersi, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 357 e 414 c.c., che all’interdetto è consentito, per il tramite del rappresentante legale, il compimento di tali atti (a meno che, come nel caso dell’art. 85 c.c., non gli siano espressamente vietati), ben potendo l’esercizio del corrispondente diritto rendersi necessario per assicurare la sua adeguata protezione.

Non v’è dubbio, poi, e neppure la ricorrente lo contesta, che fra le situazioni giuridiche soggettive che realizzano la personalità dell’individuo si collochi anche “il diritto alla separazione” (cfr. Cass. nn. 21099/07, 2183/2013).

5.3) Diversa questione, che pure si pone nel presente giudizio, è se la rappresentanza dell’incapace nell’esercizio di un diritto personalissimo possa spettare al tutore o debba invece essere sempre affidata ad un curatore speciale, nominato ad istanza del primo o su iniziativa del giudice tutelare.

Va premesso che le conclusioni raggiunte sul punto dalla richiamata Cass. n. 9582/2000 non costituiscono vero e proprio precedente, atteso che la sentenza ha ritenuto che il diritto dell’interdetto ad agire per il divorzio dovesse essere affermato non in forza dei principi generali dell’ordinamento, ma sulla scorta di un’interpretazione analogica della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 5, il quale richiede, per l’appunto, la nomina di un curatore speciale.

Ritiene per contro questo collegio che – una volta ammesso che, in mancanza di un espresso divieto, in nome e per conto dell’interdetto per infermità possa essere compiuto anche un atto personalissimo (sempre che sia accertato che l’atto corrisponda al suo interesse e volto effettivamente a dare attuazione alle sue esigenze di protezione) – la designazione di un soggetto terzo, nominato ad hoc, che, insieme al giudice tutelare, valuti l’opportunità di promuovere la connessa azione e ne determini il contenuto, per essere poi autorizzato ad esperirla, si prospetti necessaria solo nel caso di conflitto di interessi fra il tutore ed il proprio rappresentato, risolvendosi, altrimenti, in un inutile formalismo.

La soluzione non trova ostacoli sotto il profilo sostanziale, non evincendosi dal nostro sistema di diritto civile un principio di generale e tassativa preclusione al compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte del legale rappresentante dell’incapace: al contrario, il tutore può impugnare il matrimonio dell’interdetto (art. 119 c.c.), può promuovere l’azione per ottenere che ne sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità (art. 273 c.c., u.c.), può presentare la richiesta di interruzione volontaria della gravidanza in luogo della propria rappresentata (L. n. 194 del 1978, art. 13); per altro verso, l’art. 420, u.c., (sia pur con riferimento ad atti di straordinaria amministrazione a contenuto patrimoniale) richiede la nomina di un curatore speciale solo se il legale rappresentante non possa o non voglia compiere uno o più di tali atti.

Sotto il profilo processuale la soluzione trova poi pieno conforto nell’art. 78 c.p.c., che stabilisce, al comma 1, che “se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l’assistenza” può essere nominato all’incapace un curatore speciale che lo rappresenti e lo assista in giudizio “finchè subentri colui al quale spetta l’assistenza o la rappresentanza” ed, al comma 2, che si deve procedere alla nomina di un curatore speciale al rappresentato “quando vi è conflitto di interessi con il rappresentante”.

Nel caso di specie non consta la ricorrenza di un conflitto di interessi fra K.A. e l’avv. N.: ne consegue che quest’ultimo, nella sua qualità di tutore, era pienamente legittimato a proporre la domanda di separazione in nome e per conto del primo.

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Pubblicato in Diritto di FamigliaTaggato Assistente sociale, Psicologo

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