Azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A.

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Cass. Civ. Ord. 10/08/2023, n. 24370

In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto di opere tra la Pubblica Amministrazione e un privato, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace.

“Con il settimo motivo, infatti, che prospetta violazione dell’art. 2041 c.c., il ricorrente, prende atto dell’orientamento di questa Corte secondo cui “in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto di opere (nella specie perchè annullato dal Giudice Amministrativo), tra la P.A. (nella specie un Comune) ed un privato (nella specie un consorzio di cooperative), l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto, non può farsi ricorso alla revisione prezzi, tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva di ricavare dall’esecuzione del contratto, la quale, non può costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un valido contratto di appalto” (Cass. Sez. Un. 23385/ 2008, in seguito Cass. 12702/ 2019).

E tuttavia ritiene che tale indirizzo sia in corso di superamento, come dimostrato da Cass. 24319/ 2020, secondo cui il ristoro del professionista che abbia effettuato una prestazione a favore della Pubblica Amministrazione, senza contratto valido, deve estendersi a compensare il dispendio di energie del professionista.

Il motivo è infondato.

In realtà, non v’è alcun mutamento di giurisprudenza, posto che quella decisione è esattamente in linea con i precedenti, nel senso che non estende l’indennizzo al lucro cessante costituito dal guadagno che il professionista (o l’imprenditore) avrebbe potuto avere se fossero stati praticati prezzi maggiori, o prezzi di mercato, che resta un pregiudizio escluso dal ristoro, ma è nel senso che tra i pregiudizi da tenere in conto vi sono quelli legati al tempo dedicato al lavoro, che tutto sommato, a dispetto delle massime, è un danno emergente e niente affatto un lucro cessante, e che comunque non ha a che vedere con la questione del corrispettivo, qui posta.

Gli altri motivi sono invece rivolti a contestare l’ulteriore e dedotta ratio: che, essendo il danno emergente l’unico risarcibile, non v’è prova che si sia verificato”

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