Rinuncia all’azione di riduzione: donazione indiretta?

Cass. Civ. Ord. 28/07/2023, n. 23036

La rinuncia del coniuge all’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima può comportare un arricchimento nel patrimonio della figlia beneficiata, nominata erede universale, tale da integrare gli estremi di una donazione indiretta, se corra un nesso di causalità diretta tra donazione e arricchimento.

Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denunzia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione degli artt. 769 e 809 c.c., che ha indotto la Corte di appello di Catania a disconoscere il valore di donazione indiretta, soggetta alla riduzione per integrare la quota del legittimario, alla espressa rinuncia del de cuius A.H., legittimario pretermesso, alla richiesta di riduzione delle disposizioni testamentarie della propria moglie in favore della figlia nominata erede universale della propria madre.

La Corte distrettuale avrebbe dunque errato, secondo il ricorrente, nell’escludere la sussistenza, nella rinuncia in questione, della causa donandi.

Il motivo è fondato.

E’ necessario premettere che le donazioni indirette (o liberalità atipiche o non donative, secondo altra nomenclatura) sono contemplate dall’art. 809 c.c. come liberalità risultanti da atti diversi dalla donazione e sono menzionate dall’art. 737 c.c., che impone ai soggetti tenuti alla collazione di conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal de cuius per donazione “direttamente o indirettamente”.

Sottoposte alle norme di carattere sostanziale che regolano le donazioni, come recita l’art. 809 c.c. (ma l’interpretazione restrittiva o estensiva di questa norma è tutt’oggi oggetto di discussione tra gli studiosi), le stesse si sottraggono al rigido formalismo del tipico atto di liberalità. Per la loro validità è sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 c.c., nello stabilire le disposizioni sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (Cass. n. 4550/1978; Cass., n. 5333/2004; Cass. n. 14197/2013).

Nella ricognizione delle ipotesi più significative che l’esperienza giurisprudenziale ha ricondotto all’ambito delle donazioni indirette operata da Cass. SS. UU. n. 18725/2017 viene annoverata anche la rinuncia ad un diritto.

In più occasioni, questa Corte ha già avuto modo di precisare che la rinuncia ad un diritto, se fatta al fine di avvantaggiare un terzo, può comportare donazione indiretta (Cass. n. 9872/2000; n. 507/1967), purchè sussista fra donazione e arricchimento un nesso di causalità diretta (Cass. n. 15666/2019; n. 1545/1974), ossia se l’arricchimento rientri nella normale sequenza causale originata dalla rinuncia.

Il principio è in particolare stato ribadito con riguardo alla rinuncia abdicativa di un diritto reale minore, come l’usufrutto, che pur si estingue con la morte del titolare ma che, se estinto anticipatamente per rinuncia, ispirata da “animus donandi”, del nudo proprietario, si risolve nel conseguimento da parte del dominus dei vantaggi patrimoniali inerenti all’acquisizione del godimento immediato del bene, che gli sarebbe stato sottratto se l’usufrutto fosse durato fino alla sua naturale scadenza (Cass. n. 13117/1997). O, ancora, con riguardo alla rinuncia alla quota di comproprietà di un bene, “fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comunisti, mediante eliminazione dello stato di compressione in cui il diritto di questi ultimi si trovava a causa dell’appartenenza in comunione anche ad un altro soggetto”, ritenuta donazione indiretta, “senza che sia all’uopo necessaria la forma dell’atto pubblico, essendo utilizzato per la realizzazione del fine di liberalità un negozio diverso dal contratto di donazione” (Cass. n. 3819/2015).

Nel caso di specie, il de cuius A.H., pretermesso dalla successione della propria moglie, che aveva nominato erede universale la figlia, aveva espressamente rinunciato all’esperimento dell’azione di riduzione per reintegra della propria quota ereditaria – secondo quanto si legge in ricorso – “come da atto pubblico del 3.07.1992 a rogito notaio D.D.”. Lo stesso non aveva quindi esercitato un diritto potestativo liberamente disponibile, che ha per effetto quello di verificare l’effettiva lesione della quota di legittima e, quindi, in caso di mancato esercizio, di rendere definitive le attribuzioni patrimoniali compiute dal de cuius.

La sentenza della Corte distrettuale ha respinto l’appello sul punto ritenendo che l’effetto diretto della rinuncia all’azione di riduzione di A.H. è stato esclusivamente quello di precludersi la possibilità di impugnare il testamento del proprio coniuge, non anche quello di incidere sulla consistenza del proprio patrimonio disponendone in favore della figlia. La decisione impugnata, su tale presupposto, rispetto ai requisiti propri della donazione, ossia l’animus donandi, l’arricchimento del donatario e il contestuale impoverimento del donante, ha considerato insussistente quest’ultimo elemento, dovendosi escludere che A.H. abbia potuto donare alla figlia “beni dei quali non è mai stato proprietario”.

L’assunto non è corretto, per il fatto che il giudice a quo ha usato come modello la donazione “diretta” e i suoi elementi costitutivi (propri della donazione con effetti traslativi), obliterando la circostanza – evidenziata dalle Sezioni Unite nella già citata decisione n. 18725/2017 – che “le liberalità non donative hanno in comune con l’archetipo l’arricchimento senza corrispettivo, voluto per spirito liberale da un soggetto a favore dell’altro, ma se ne distinguono perchè l’arricchimento del beneficiario non si realizza con l’attribuzione di un diritto o con l’assunzione di un obbligo da parte del disponente, ma in modo diverso”.

Questa diversità si ripercuote, simmetricamente, sull’elemento dell’impoverimento. Per la configurazione di una donazione indiretta, con la quale si perviene al medesimo effetto di una donazione formale ma, per l’appunto, “indirettamente”, l’impoverimento non può essere inteso nella specie come trasferimento di un bene già facente parte del patrimonio del A.H. dalla sua sfera patrimoniale a quella della di lui figlia, ma va considerato quale mancato consapevole esercizio – sorretto da intento liberale – della possibilità di arricchire il proprio patrimonio, in favore della parte che da tale azione ne sarebbe risultata impoverita.

In conclusione, la decisione impugnata va cassata sul punto e il giudice del rinvio, che si individua nella stessa Corte di merito in diversa composizione, dovrà riesaminare la questione attenendosi al seguente principio di diritto: “La rinuncia del coniuge all’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima può comportare un arricchimento nel patrimonio della figlia beneficiata, nominata erede universale, tale da integrare gli estremi di una donazione indiretta, se corra un nesso di causalità diretta tra donazione e arricchimento”.