Immissioni e risarcimento del danno

Cass. Civ. Ord. n. 26715/2020

L’art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio.

Viceversa, l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in re ipsa, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’art. 2043 c.c. e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.

Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte: “L’art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Viceversa, l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in “re ipsa”, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’art. 2043 c.c. e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.” (Sez. 2, Ord. n. 21554 del 2018, Sez. 3, Sent. n. 5844 del 2007).

Sicché, il superamento delle immissioni tollerabili è il fatto generatore del danno senza che rilevi in alcun modo se l’illecito sia anche penalmente rilevante o costituisca solo un comportamento antigiuridico sul piano civilistico.

La domanda dell’attore, oggi controricorrente, aveva ad oggetto l’accertamento del superamento del suddetto limite di tollerabilità con richiesta di risarcimento del danno conseguente alle immissioni e, dunque, non vi è stata alcuna pronuncia ultrapetita da parte della Corte d’Appello e, prima ancora, del giudice di primo grado nell’accogliere tale richiesta.

Quanto all’entità del risarcimento la Corte d’Appello ha chiarito che l’attore aveva chiesto un risarcimento pari a 50.000 Euro o alla maggiore o minore somma ritenuta di giustizia e, dunque, anche nella quantificazione del danno non vi è alcuna pronuncia ultrapetita, come ben motivato nella sentenza.

Deve richiamarsi in proposito il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui: “La formula “somma maggiore o minore ritenuta dovuta” o altra equivalente, che accompagna le conclusioni con cui una parte chiede la condanna al pagamento di un certo importo, non costituisce una clausola meramente di stile quando vi sia una ragionevole incertezza sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi, mentre tale principio non si applica se, all’esito dell’istruttoria, sia risultata una somma maggiore di quella originariamente richiesta e la parte si sia limitata a richiamare le conclusioni rassegnate con l’atto introduttivo e la formula ivi riprodotta, perché l’omessa indicazione del maggiore importo accertato evidenzia la natura meramente di stile dell’espressione utilizzata” (Sez. 3, Sent. n. 12724 del 2016).

Nella specie il ricorrente non censura il fatto che all’esito dell’istruttoria era venuta meno l’originaria ed oggettiva incertezza del quantum, ai fini della aestimatio del danno con specifiche indicazioni sulla quantificazione dello stesso, e dunque la doglianza di violazione dell’art. 112 c.p.c. risulta infondata.