Criterio di vicinanza della prova: limiti

Cass. Civ. Ord. 1373/2020

Il criterio di vicinanza della prova, quale mezzo di definizione della regola finale di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., non può operare allorquando l’interessato abbia la possibilità, secondo le regole di cui al diritto di accesso agli atti della P.A. o eventualmente sulla base degli strumenti processuali a tal fine predisposti dall’ordinamento, di acquisire la documentazione necessaria a suffragare le proprie ragioni.

In ogni caso, il criterio di vicinanza neppure può essere richiamato qualora il fatto rimasto ignoto e destinato ad integrare uno degli elementi costitutivi del diritto azionato, quale è, in ambito di responsabilità contrattuale, il nesso causale tra inadempimento e danno, risulti integrato da più possibili evenienze concrete che risultino, anche solo per taluna di esse, estranee alla sfera di conoscenza della parte di cui si prospetta la prossimità rispetto alle circostanze rilevanti.

Neppure può valorizzarsi, come pretenderebbe la ricorrente, il c.d. criterio di vicinanza della prova, in ipotesi destinato a porre a carico del Ministero l’onere di dimostrare che altri candidati in posizione poziore non avessero rinunciato; Tale criterio verrebbe in evidenza rispetto alla possibilità che qualcuno dei candidati collocati “in coda” con punteggio superiore a quello del ricorrente, potesse rinunciare all’inserimento a pettine o comunque al posto alla medesima spettante.

Anche a voler prescindere dal fatto che la parte privata ha certamente la possibilità di richiedere alla P.A., secondo la nota disciplina della L. n. 241 del 1990 sul diritto di accesso (art. 22 ss.), il rilascio dei documenti utili a verificare le posizioni altrui di interesse, in ogni caso la definizione del regime probatorio sull’aspetto qui in esame impone di considerare come la rinuncia degli altri candidati può trovare fondamento non solo nel fatto che i medesimi, partecipando a graduatorie di più province, potrebbero essere stati assunti altrove (angolazione rispetto alla quale effettivamente la P.A. ha contezza più diretta rispetto al fatto da dimostrare, attinente al suo complessivo procedere), ma anche nel fatto che i predetti avrebbero rinunciato per ragioni strettamente personali.

Rispetto a quest’ultima ipotesi, come giustamente sottolineano i giudici di appello, il Ministero non ha alcuna prossimità con l’oggetto della prova, che, afferma con pregnanza la Corte territoriale, “riguarda semmai i terzi (eventualmente rinuncianti)”; d’altra parte, il regime probatorio di un fatto giuridicamente unitario (ovverosia la rinuncia di altri candidati quale aspetto idoneo ad integrare il nesso causale tra inadempimento e danno di cui si chiede il ristoro in forma specifica) non può che essere parimenti unitario, sicché, riguardando tali fatti un elemento costitutivo del diritto al risarcimento (ovverosia, come detto, il nesso causale tra inadempimento e danno), il corrispondente onere ultimo ricade, nell’applicazione della corrispondente regola di giudizio, sulla parte che agisce, come da principi dell’ordinamento processuale e sostanziale (v., in quest’ultimo senso, in tema di responsabilità sanitaria, Cass. 20 agosto 2018, n. 20812 e Cass. 7 dicembre 2017, n. 29315);

Assetto che evidentemente non esclude la possibilità di perseguire tale prova, una volta allegato il verificarsi delle corrispondenti evenienze, anche mediante la richiesta di esibizione o acquisizione officiosa dei corrispondenti documenti (afferenti ad es. all’assunzione di altri pretendenti presso le graduatorie di altre province) di cui non si sia potuta avere concreta disponibilità ante causam, ma ciò afferisce a questione (contigua e purtuttavia) diversa da quella dell’applicazione della regola di chiusura di cui all’art. 2697 c.c. nell’ambito qui interessato, di cui consiste la censura formulata con il secondo motivo;

(…)

vanno altresì formulati i seguenti principi:

– “il criterio di vicinanza della prova, quale mezzo di definizione della regola finale di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., non può operare allorquando l’interessato abbia la possibilità, secondo le regole di cui al diritto di accesso agli atti della P.A. o eventualmente sulla base degli strumenti processuali a tal fine predisposti dall’ordinamento, di acquisire la documentazione necessaria a suffragare le proprie ragioni; in ogni caso, il criterio di vicinanza neppure può essere richiamato qualora il fatto rimasto ignoto e destinato ad integrare uno degli elementi costitutivi del diritto azionato, quale è, in ambito di responsabilità contrattuale, il nesso causale tra inadempimento e danno, risulti integrato da più possibili evenienze concrete che risultino, anche solo per taluna di esse, estranee alla sfera di conoscenza della parte di cui si prospetta la prossimità rispetto alle circostanze rilevanti”;

– “nel valutare il nesso causale rispetto ad un’azione di risarcimento del danno a titolo contrattuale non possono operare a favore della parte inadempiente, dal punto di vista probatorio, evenienze che scaturiscono dal suo stesso inadempimento, dovendosi apprezzare tale nesso, secondo un giudizio prognostico ex ante, sulla base di quanto sarebbe accaduto e della complessiva situazione dedotta in giudizio, ove l’inadempimento non vi fosse stato”;