Criteri per la determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli

Cass. Civ. Ord., (ud. 08-05-2018) 10-10-2018, n. 25134

Nella determinazione dell’assegno di mantenimento si deve tenere conto del fatto che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, stabilito dall’art. 147 cod. civ., vincola i coniugi a far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fino a quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.

Pertanto, nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, il giudice deve individuare, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti.

Ritenuto che:

l’art. 148 cod. civ., nel prescrivere che entrambi i coniugi sono tenuti ad adempiere all’obbligazione di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non detti un criterio automatico per la determinazione dell’ammontare dei rispettivi contributi, costituito dal calcolo percentuale dei redditi dei due soggetti (che finirebbe per penalizzare il coniuge più debole), ma preveda un sistema più completo ed elastico di valutazione;

tale sistema debba, per vero, tenere conto non solo dei redditi, ma anche di ogni altra risorsa economica – ivi compreso il valore intrinseco di beni immobili, siano essi direttamente abitati o diversamente utilizzati (Cass., 21/01/1995, n. 706; Cass., 05/10/1992, n. 10926) – e delle cennate capacità di svolgere un’attività professionale o domestica, e che si esprima sulla base di un’indagine comparativa delle condizioni – in tal senso intese – dei due obbligati (Cass., 16/10/1991, n. 10901);

peraltro, al criterio del mantenimento “in misura proporzionale” al reddito di ciascun genitore e delle “risorse economiche di entrambi i genitori”, valutate alla stregua di un’indagine comparativa, si ispiri anche l’art. 337 ter cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 20 dicembre 2013, n. 154, art. 7, comma 12, – con specifico riferimento alla fattispecie, ricorrente nel caso concreto, dei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio;

Ritenuto che:

per altro verso, nella determinazione dell’assegno di mantenimento debba, altresì, tenersi conto del fatto che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, stabilito dall’art. 147 cod. civ., vincola i coniugi a far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fino a quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione;

pertanto, nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, il giudice di merito debba individuare, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonchè i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti (Cass., 10/07/2013, n. 17089; Cass., 22/03/2005, n. 6197);

Rilevato che:

nel caso concreto, il decreto emesso dalla Corte d’appello non si sia attenuto a tali principi, essendosi il giudice del gravame limitato, per quanto concerne le esigenze del minore, a dedurre – del tutto genericamente, e senza alcun riferimento specifico al caso concreto – l’impossibilità di quantificare “con precisione aritmetica (…) le esigenze di un bambino che viva in ambienti famigliari particolarmente benestanti”, e la conseguente necessità di fare riferimento ad un criterio equitativo; per quanto attiene, poi, alle condizioni patrimoniali dei genitori, la Corte si è limitata ad un altrettanto generico ed apodittico riferimento “alle oltremodo consistenti risorse reddituali e patrimoniali di C.O.”, pervenendo – sulla base di questa mera asserzione – alla conclusione di dover reputare “congruo rideterminare l’onere in parola in Euro 1.500,00 mensili”;

la motivazione sul punto si palesa, pertanto, “apparente”, secondo il disposto del novellato art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054); Considerato che:

con il secondo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter cod. civ. e 8 CEDU, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – C.O. lamenta che la Corte d’appello – sebbene abbia confermato l’affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori – abbia, poi, stabilito la collocazione prevalente presso la madre, anzichè stabilire il domicilio del medesimo presso entrambi i genitori, in modo da “garantire ruoli paritari” ai medesimi nella cura, educazione ed istruzione del minore;

Ritenuto che:

in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, vada formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonchè della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore;

in ogni caso, debba assicurarsi il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (Cass., 23/09/2015, n. 18817; Cass., 19/07/2016, n. 14728);

nell’ambito dell’affidamento condiviso di un minore, costituisca misura idonea a salvaguardare il suo preminente interesse ad una crescita serena ed armoniosa – in una situazione di disgregazione della famiglia – la collocazione stabile presso il genitore con il quale ha in prevalenza vissuto in precedenza e che possa assicurargli una maggiore attenzione, in quanto più idoneo a prendersi cura del medesimo, garantendo al contempo al genitore non collocatario ampi periodi di tempo per tenere il figlio presso di sè;

Rilevato che:

nel caso concreto, la Corte d’appello ha ampiamente motivato – tenendo conto anche delle indagini peritali espletate – circa il fatto che il minore andasse collocato stabilmente presso la madre, “con la quale egli vive dalla nascita, con la quale ha ovviamente stabilito un rapporto profondo e positivo”, e tenuto conto anche della conflittualità esistente tra i genitori e della scarsa collaborazione tra gli stessi;

la Corte ha, altresì, accertato – quanto ai rapporti con il genitore con collocatario, e sulla scorta delle risultanze della disposta c.t.u. – per un verso, l'”assenza di gravi ed impedienti criticità in capo al C.”, per altro verso, l'”attuale immaturità dell’evoluzione dei rapporti padre-figlio e della stessa visione da parte di C. di sè stesso come padre”, desumendone l’opportunità di “una progressione graduale, finalizzata a favorire l’instaurazione di una effettiva affectio” tra padre e figlio; a fronte di tali corrette e motivate conclusioni del giudice del gravame, la censura del ricorrente si traduce – attraverso la rinnovata disamina del materiale probatorio in atti – in una sostanziale richiesta di riesame del merito della causa, inammissibile nella presente sede di legittimità (Cass., 04/04/2017, n. 8758).